mercoledì 3 luglio 2013

il nostro biagio

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ANTONACCI
DALLA A ALLA Z

Il papà emigrato dal Sud a Milano, la prima moto, i giorni faticosi del debutto. E poi i figli, che gli hanno fatto scoprire: «Cosa significa donare amore incondizionato».

Anche se non conquista le prime pagine dei giornali come avviene per il calcio, c’è una campagna acquisti anche nel mondo della musica. E in questi giorni c’è stato un trasferimento che ha fatto notizia: Biagio Antonacci è, infatti, passato dalla Universal a un’altra multinazionale, la Sony Bmg. Ma solo quando si spegnerà l’eco di Vicky Love, l’ultimo album, pubblicherà il primo cd per la nuova etichetta: intanto, la Universal ha deciso di realizzare un particolare Best of che comprende addirittura 36 canzoni, che il cantautore milanese ha scritto tra il 1989 e il 2000.
Il lancio è stato fatto senza clamore pubblicitario, nel senso che Antonacci, che è in pausa sabbatica dopo il clamoroso successo del concerto a San Siro, non partecipa alla promozione. Ma tiene banco con un libro autobiografico, edito da Mondadori, Se ami devi amare forte, che risponde a tutte le domande che vengono in mente circa la sua personalità, la sua carriera, persino la sua vita privata. Così, "intervistando" il libro, ma soprattutto leggendolo, molte delle nostre curiosità saranno soddisfatte.
È un gioco che – ne sono certo – a Biagio piacerà, anche perché nella prefazione scrive, proprio con la sua calligrafia, e lo farà regolarmente in moltissime delle 234 pagine: «Questo libro è il frutto di un pensiero che non sta mai a casa sua».
Il primo capitolo è dedicato interamente all’amore: «Spero che nessuno venga mai a dirmi che l’amore eterno non esiste: non lo voglio sapere, sarebbe come togliere il gioco a un bambino, quando c’è ancora luce e tempo prima di andare a nanna».

In effetti, nonostante passi per un rubacuori, Biagio Antonacci ha avuto due amori veri: Marianna Morandi che è stata con lui per nove anni e gli ha dato due figli, Paolo che ha oggi dodici anni, e Giovanni che ne ha sette. Quando è nato Paolo, il neopapà gli ha dedicato la canzone Mi fai stare bene che, ovviamente, trova spazio nel nuovo album. Dopo Marianna è arrivata Paola, che sembra aver trovato un posto fisso nel cuore del single più risoluto della nostra musica leggera.


Che padre è Biagio Antonacci?
«Quando non avevo figli mi facevano specie le coppie senza bambini. Non capivo perché non volessero averne. Non capivo perché due persone potessero anteporre il lavoro, o i viaggi, o qualsiasi altra cosa all’idea di fare figli. Non mi sembravano realizzati. Poi ho capito: forse avevano paura. Sono diventato papà anch’io. Ho scoperto cosa significa donare amore incondizionato. Amore gratis, quello che abbiamo avuto dai nostri genitori. Ho capito che i figli sono una responsabilità, prima di tutto... Mi sento fragile di fronte al loro giudizio, penso che la cosa peggiore che possa accadere è che i miei figli mi giudichino male. Mentre sono stato capace di fuggire da lavori o affetti che non sentivo più corrispondermi, non sarò mai capace di scappare da loro due. Loro sono le persone che davvero, più di tutti, inseguirei, se ce ne fosse bisogno».


Cosa pensi di lasciare di te a Paolo e Giovanni?
«Loro faranno il loro viaggio e io li avrò accompagnati per un tratto. Poi diventeranno "pensatori liberi", e non crederanno più a tutte le cose che dico, semplicemente perché sono io che le dico. Spero che non siano viziati e incapaci di sentirsi fieri di loro stessi. Spero che non abbiano mai paura del giudizio altrui, dei rimproveri di chiunque, e che non si tengano dentro niente. Spero che si sentano protetti da quello che hanno costruito i loro genitori, ma che non si fermino a quello che hanno fatto gli altri, e che è già alle spalle. Spero che guardino sempre avanti, perché è lì che pulsa il futuro».


Via dei Fiordalisi n. 1, dove abitavi da ragazzo, che ricordi ti evoca?
«Mio padre non sapeva neanche cosa fosse la ponderazione... al contrario di me. È partito da Bari senza una lira, a sedici anni; per sette, otto mesi ha venduto fiori davanti ai ristoranti di Milano, quando appesi ai muri c’erano i cartelli con scritto: "No ai terroni". Però ci ha provato: veniva trattato malissimo, ma ha preferito cercare la sua strada. Mio nonno, Biagio, avrebbe preferito che stesse vicino a casa: gli aveva anche aperto un negozio di parrucchiere. Ma lui non ci voleva stare, si sentiva rinchiuso e costretto. A Milano, all’inizio dormiva nelle cascine, al gelo, poi cominciò come apprendista da un parrucchiere, l’unico mestiere che sapeva fare. Era trattato peggio degli extracomunitari oggi. Avrei dovuto nascere in Argentina come canto in Non ti passa più. Mio nonno avrebbe voluto partire. Poi non lo fece mai. Io ho il suo nome e il mio primogenito, Paolo, quello di mio padre. È una tradizione di famiglia: il primogenito si chiama come il nonno».


Solo uomini in famiglia?
«Mia madre faceva la sarta. È di Milano e sposò mio padre a diciotto anni. Dopo nove mesi nacqui io. Avevamo trovato casa in un palazzone di Rozzano, nell’hinterland milanese. Invece che in Argentina, io e mio fratello Graziano (che oggi si cura della parte legale e finanziaria della famiglia, ndr) siamo nati nel grigio di Milano, della Milano degli anni Settanta, con la paura della destra, della sinistra, della nebbia troppo fitta, della droga e delle risse per la strada...».
La moto, la prima fidanzatina, i giorni faticosi del debutto, Biagio non trascura nulla: «Al mio primo concerto a pagamento, in Liguria, nel 1991, c’erano 17 paganti, erano i primi ad aver comprato un biglietto per sentirmi e dovevo essere all’altezza. È un errore colossale pensare che meno pubblico merita meno attenzione: ne merita di più, perché deve raccontare agli altri che si sono persi uno spettacolo pazzesco. Quei 17 paganti ci sono stati in tutta la mia vita, ho sempre lavorato pensando a loro. Tra quei 17 e i 60 mila di San Siro c’è un’enormità, ma secondo me i 59.983 di differenza sono tutti figli di quei 17».
Chi ama Biagio Antonacci lo ritroverà con tutti i suoi segreti nel libro-diario che, per l’estrema semplicità di scrittura, diventa davvero un libro verità. Sinora non mi era mai capitato di trovarla nella maggior parte di quelli firmati, ma qualche volta non scritti, dalle star della musica.


Gigi Vesigna
 

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